Piccola guida ai migliori puzzle game filosofici (o quasi) e alla loro evoluzione

I giochi che troverete in questa lista sono, a nostra opinione, legati da un filo comune di sperimentazione del linguaggio videoludico. Abbiamo tracciato una storia delle Puzzle-Adventure in prima persona a partire da Myst (1993), attraverso la loro evoluzione nel genere dei Walking Simulator (2012ish), fino ai giorni nostri (2020). Scopriremo come questi titoli apparentemente diversi abbiano molto in comune! Questa guida vuole essere un elenco di titoli suggeriti per chiunque voglia avventurarsi in questo particolare ramo dei videogiochi, e magari riflettere insieme a noi sulle innovazioni del nostro medium preferito. Se state cercando delle sfide per il vostro cervello unite a delle ambientazioni uniche capaci di farvi interrogare sulla natura stessa dell’uomo, dell’universo e dello stesso concetto di “videogioco”, siete nel posto giusto. Cominciamo! 🙂

Per chi non volesse leggere, qui il video dell’articolo 🙂

Tutto inizia nel 1993 quando i fratelli Robyn e Rand Miller svilupparono il gioco rivelazione Myst, evolvendo il genere già fortunato delle Avventure Grafiche e riscuotendo un enorme successo di pubblico e di critica. Diverse cose contribuivano a rendere Myst un gioco unico: la prospettiva dell’avventura che si spostava dalla terza alla prima persona, in un inedito mondo 3D; la narrazione, col giocatore lasciato completamente solo, senza background, istruzioni, o obiettivo apparente; e il gameplay che non comprendeva nemici, violenza, limiti di tempo, e rischio di game over… la sola implicita istruzione era quella esplorare un isola apparentemente deserta. L’isola stessa era disegnata in modo innovativo e presentava i suoi enigmi con grazia e mistero, quasi diventando lei la protagonista del gioco mentre si svelava lentamente, come un grande rebus, attraverso (molta) pazienza, osservazione e logica. Con Myst la stampa si sbilanciò a riconoscere per la prima volta come il linguaggio dei videogiochi si avvicinasse ad una forma d’arte, mentre molti giocatori dichiararono che il gioco richiamava una esperienza religiosa, definendo la Virtual Reality di Myst una “Virtual Morality“. Oltre ad aver ridefinito il genere delle Avventure Grafiche e dei Puzzle Game, Myst contribuì a rendere popolare gli “Escape The Room” (virtuali e non) ma soprattutto è considerato uno dei primi Walking Simulator, meta-giochi apparsi verso il 2012 che si basano sull’esplorazione per la risoluzione dei puzzle, e sull’uso di innovative meccaniche di gameplay per interrogarsi sui processi cognitivi messi in scena dal gioco stesso.

Sebbene con gli anni sia invecchiato piuttosto male, Myst fu un titolo rivoluzionario che venne seguito da altri 4 titoli della serie (che terminerà con Myst V: End of Ages nel 2005), da un MMORPG nel 2003 (Uru: Ages Beyond Myst), e da una serie di libri. Dopo Myst bisognerà aspettare fino a Portal (2007) per trovare un gioco che, sebbene dal gameplay molto diverso, rilancerà l’entusiasmo verso i Puzzle Game in prima persona aprendo definitivamente le porte alla nuova generazione di titoli che intendiamo omaggiare in questa lista.

Myst (1993)

Portal (2007)
Stranamente definito un gioco “Azione” su Steam, questo Puzzle-Platform è un gioco apparentemente molto diverso da Myst, col quale condivide però l’approccio radicale al gameplay, ed il merito di aver reso popolari i Puzzle Game in prima persona. Pensiamo a Myst e Portal come a due facce della stessa medaglia. Portal introdusse dei puzzle dalla dinamica inedita in una rappresentazione del teletrasporto. Il concept era tanto semplice quanto geniale: nei panni della protagonista, possediamo uno strumento in grado di sparare un varco dimensionale, oltrepassando il quale si emerge dal portale precedentemente sparato. Questo creava un effetto paradossale simile ad un ipercubo ed era anche possibile vedere noi stessi in lontananza attraverso i portali. L’obiettivo era quello di raggiungere l’uscita di ogni stanza. La storia trattava di fantascienza e non si faceva mancare uno spiccato umorismo. Portal avrà un suo seguito in Portal 2 del 2011, dalla narrativa più marcata e che vinse, tra gli altri, i Bafta Awards come miglior gioco dell’anno.

Un esempio dal gameplay di Portal (2007)

Q.u.b.e. (2011)
Nato come uno student project, Q.u.b.e. (Quick Understanding of Block Extrusion) è direttamente ispirato all’hype generato da Portal e fondamentalmente ne propone lo stesso concetto e ambientazione, ideando nuove meccaniche per i suoi puzzle. Il gioco non possiede lo stesso carisma di Portal ma è un valido intrattenimento per gli amanti degli enigmi basati sulla fisica e della fantascienza spicciola. Nel 2018 si rinnova con Q.u.b.e. 2 che ne continua la storia aggiungendo nuove meccaniche ed una nuova veste grafica.

Q.u.b.e. (2011)

The Stanley Parable (2011)
Attenzione: oltrepassata questa linea, tutto quello che pensavate di sapere sui videogiochi perderà ogni significato. The Stanley Parable è uno dei più riusciti esperimenti meta-narrativi nel mondo dei videogiochi, ed anche uno dei primi esempi di Walking Simulator, anche se ancora inconsapevole. Per il momento, The Stanley Parable non è qui per definire un nuovo genere ma per dimostrarci che qualcosa si è “rotto”. Puzzle e avventura iniziano a confondersi, a confonderci, e a farci intuire, con un brivido lungo la schiena, che e nulla sarà mai come prima. Abbandoniamoci quindi a questa spettacolare, labirintica follia alla Truman Show che ci interroga sull’illusione del libero arbitrio, sulla magia dello storytelling, e sulle regole che sorreggono il gioco stesso e forse anche la nostra stessa vita. Esilarante, sacrilego, estenuante. Attraversare The Stanley Parable equivale a frequentare un corso di psicologia, di filosofia, e di sceneggiatura.

Dear Esther (2012)
Se abbiamo detto che Myst fu il precursore dei cosiddetti Walking Simulator, Dear Esther fu uno dei primi titoli ad inaugurarne il genere. Trattati inizialmente con scherno dall’industria videoludica i “simulatori di camminata” sono giochi nati da sviluppatori indipendenti, polemicamente classificati come dei non-giochi a causa della mancanza apparente di una sfida, ma che col tempo si sono rivelati una delle più interessanti avanguardie nell’evoluzione del medium, dalla narrazione e al gameplay. Se è vero che non presentano delle sfide in senso classico, la nuova sfida in questi titoli consiste precisamente nel confrontarsi con l’essenza stessa del “videogioco” come meta-esperienza. I giocatori alle prese con Dear Esther (o The Stanley Parable (2012ish), o Gone Home (2013), ecc…) vengono portati a riflettere su temi filosofici o psicologici quali metafisica, determinismo, memoria, esistenzialismo… e lo fanno perché lo spazio di gioco e le meccaniche di gameplay nei Walking Simulator sono la rappresentazione stessa dello stato mentale o del tema che il gioco vuole trattare. Rivelazioni, scoperte, dubbi, passaggi di livello… la narrazione e il gameplay sono così profondamente connessi che tutto avviene senza scarti nella mente del giocatore che accetta di abbandonarsi alla “camminata”.

Dear Esther ci vede sperduti (la solitudine sembra essere il leitmotif di molti di questi titoli e scopriremo più avanti il perché) in un’isola disabitata delle Ebridi mentre si ascoltano frammenti di lettere di una donna di nome Esther. L’esplorazione è libera e la non linearità delle lettere costringe il giocatore a trarre individualmente le proprie conclusioni sulla storia.

Dear Esther (2012)

Miasmata (2012)
Abbiamo deciso di includere Miasmata in questa lista anche se presenta delle meccaniche da Action Survival Game impiantate su una struttura da Walking Simulator. Questo implica che in Miasmata si può morire, servono abilità di destrezza (controlli) ed il gioco si svolge ad un ritmo più frenetico, mentre si esplora l’area in una corsa contro il tempo con la malattia, una bestiale minaccia, e la paura crescente… Come in Myst, vi troverete abbandonati su un’isola deserta senza indizi se non qualche informazione sul vostro stato di salute, e scarse istruzioni su come sintetizzare una cura per la malattia da piante e funghi. Non ci sono puzzle logici in Miasmata ma, se ignoriamo i pochi elementi da action game, le dinamiche di sopravvivenza assumono in un certo senso il valore di un puzzle, essendo legate all’esplorazione e alla progressiva analisi della flora locale. Inoltre, l’orientamento in Miasmata rappresenta una ulteriore sfida e per capire la vostra posizione sulla mappa dovrete ricorrere alla bussole e alla triangolazione! Abbiamo parlato di Miasmata anche nel nostro speciale dedicato all’orientamento nei videogiochi, lo potete trovare qui.

Miasmata (2012) e il suo particolare sistema di orientamento per triangolazione.

Journey (2012)
Altro titolo che non trova spazio in nessuna categoria ordinaria è Journey della eclettica software house Thatgamecompany. Classificato come Art Game è fondamentalmente un Walking Simulator in terza persona che ripercorre la parabola dell’Eroe in forma interattiva. Journey rappresenta uno dei momenti più alti di riflessione metalinguistica nei videogiochi, con un utilizzo delle meccaniche di gameplay a suggestivo servizio della narrazione, ad emulare stati d’animo quali gioia, tristezza, pericolo, trascendenza… Journey è un capolavoro di game design ed una esperienza indimenticabile. Punto.

Journey (2012) in tutta la sua commovente bellezza.

Antichamber (2013)
E torniamo ai Puzzle! Antichamber è un altro dei titoli ispirati dal successo di Portal; dal look minimalista e cyber-psichedelico, è disponibile oggi anche in VR. Gli enigmi del gioco trattano lo spazio e la luce, e utilizzano stratagemmi tecnici derivati dall’uso sperimentale del motore grafico Unreal 3, quali oggetti invisibili e l’illuminazione inversa, per creare un mondo di illusioni ottiche. Mentre finiva di sviluppare il gioco, il programmatore Alexander Bruce si accorse che mancava qualcosa e trovò che l’aggiunta di un tema filosofico contribuiva a rendere l’esperienza di Antichamber più completa nella soluzione ed interpretazione di alcuni enigmi oltre che nel presentare il gioco anche come una profonda esperienza psicologica.

Antichamber (2013)

Proteus (2013)
Proteus è un altro di quei titoli classificati come “Art Game” che costrinse giocatori e stampa a interrogarsi sulla sua natura, e di conseguenza su cosa definisse in ultima istanza il concetto di “gioco”. Il dilemma sulla natura sfuggente dei “giochi” esiste da sempre in filosofia (fino a L. Wittgenstein che ci spiega – parafrasiamo – come i giochi siano definiti unicamente dalle loro differenze), ma solo negli ultimissimi anni, grazie a giochi come Myst (1993), Journey (2012), o Proteus, sembra essersi finalmente palesato anche nel mondo dei videogiochi! Questi meta-giochi non seguono regole di mercato o di genere ed infatti sono quasi tutti frutto di coraggiose produzioni indipendenti. Sul perché siano comparsi solo negli ultimi anni si può teorizzare come, fino a pochi anni fa, creare un videogioco fosse competenza quasi esclusiva di team di tecnici e programmatori, mentre oggi il linguaggio dei videogiochi è accessibile anche ad artisti o narratori, finalmente in condizione di sviluppare giochi dalla visione personale, autoriale, nuova. Proteus è fondamentalmente un “Simulatore di Camminata Zen” che ci invita a esplorare un coloratissimo mondo musicale generato proceduralmente, attraverso le sue stagioni. Siamo sull’Isola o siamo l’Isola? Esiste un obiettivo? Una Fine? C’è chi giura di si! Possiamo solo suggerirvi di provarlo per rilassarvi, tra un puzzle e l’altro 🙂

Proteus (2013)

The Talos Principle (2014)
Se i robot di Portal possedevano un innato senso dell’umorismo, il robot senza nome protagonista di The Talos Principle possiede invece una bella scorta di angoscia esistenziale. The Talos Principle è un puzzle game narrativo sviluppato dai Croati Croteam e scritto da Tom Jubert (The SwapperFTL: Faster Than Light) e Jonas Kyratzes, ambientato tra futuristiche rovine tra la fine del tempo degli uomini e la nascita delle Intelligenze Artificiali. Il giocatore interpreta un androide in un percorso spirituale che lo farà interrogare su questioni posthuman quali: il senso dell’essere vivi, la natura della coscienza, e il libero arbitrio. Un sequel è previsto per il 2020.

The Talos Principle (2014) è anche giocabile in terza persona.

The Vanishing of Ethan Carter (2014)
Dotatevi del vostro “quinto senso e mezzo” per interpretare un detective del paranormale in questo primo gioco dei polacchi The Astronauts. Il gioco riprende dinamiche da Walking Simulator arricchite da mini giochi a tema investigativo che ritornano alle origini delle Avventure Grafiche con comandi quali “esamina”, “spingi”, “tira”, ecc… The Vanishing of Ethan Carter ci lascia totalmente liberi di esplorare un mondo malinconico e perturbante, alla ricerca degli indizi necessari per risolvere diversi casi di omicidio mentre indaghiamo sulla scomparsa di un ragazzino. Il gioco utilizza il motore grafico Unreal 3 in modo straordinario nella resa delle ambientazioni, anche grazie alla tecnica della fotogrammetria, e ne esiste una versione rimasterizzata in Unreal 4.

The Vanishing Of Ethan Carter (2014) è un Walking Simulator investigativo a tinte horror con elementi di Avventura Grafica.

Ether One (2014)
Similmente a The Vanishing Of Ethan Carter, in Ether One il protagonista possiede poteri paranormali e questa volta il “dono” consiste nel proiettarsi nella mente turbata dei personaggi nella speranza di ritrovarne i ricordi perduti. Il gioco si sviluppa attraverso esplorazione e piccoli puzzle che comportano sfide fisiche o mentali. Man mano che il gioco avanza i puzzle diventano più difficili e confusi a simulare le difficoltà cognitive di una persona disturbata mentalmente. Per lo stesso motivo, alcuni oggetti che raccoglierete nel gioco non avranno nessuna utilità, rendendo il giocatore mai sicuro del senso delle proprie azioni mentre colleziona ossessivamente ogni possibile indizio. Ether One È stato paragonato a film come Inception (2010) o ad una versione inversa di Eternal Sunshine Of The Spotless Mind (2004). Il gioco è molto breve e per questo ha ricevuto pareri contrastanti, ma sicuramente merita di essere provato.

Ether One (2014)

P.T. (2014)
Un esperimento originale e una geniale strategia di marketing. Ufficialmente, P.T. (Playable Teaser) non è nemmeno un gioco, ma solamente una demo giocabile per l’ultimo episodio annunciato (e poi ritirato) di Silent Hill by Hideo Kojima. Rilasciato su Playstation Store senza nessun preavviso o comunicato stampa, questo oscuro titolo in prima persona ha confuso giornalisti e giocatori per giorni. P.T. consiste in un solo corridoio che si ripete all’infinito, tra piccoli dettagli che raccontano un tragico incidente, mentre un terrificante spettro ed uno strano feto perseguiteranno i giocatori. Le soluzioni agli enigmi sono completamente fuori dagli schemi, difficilissime, coinvolgono ogni possibile senso dentro e fuori dal gioco, come ad esempio il dover pronunciare nel microfono del joypad un nome di persona! Il gioco perseguita i giocatori anche quando non stanno giocando: Internet e Reddit impazziscono, tutti cercano consigli online e sviluppano complicate teorie per risolvere l’esperienza e capirne le misteriose origini. Playable Teaser ricorda più la VHS maledetta di The Ring, che un trailer di un videogioco. Kojima ci dimostra nuovamente suo genio: un puzzle game che porta i giocatori a collaborare per trovarne la soluzione, e una campagna marketing col botto. Purtroppo non vedremo mai il gioco finale, o mai dire mai? Intanto, il gameplay di P.T. viene saccheggiato da Resident Evil 7: Biohazzard (2017). La Capcom nega, ma lo stesso Kojima ne è sicuro. Un altro mistero.

L’infinito corridoio di P.T. (2014) non è adatto ai deboli di cuore.

Gone Home (2015)
Se avete seguito questa guida dall’inizio alla fine avrete notato come il genere dei Walking Simulator si sia progressivamente imposto e come dal 2012 sempre più software house indipendenti abbiano scelto questo approccio per i loro primi giochi. Il motivo è duplice: da un lato questi giochi sono realizzabili a budget relativamente bassi; dall’altro, sembrava che la critica e il pubblico stessero accogliendo automaticamente in modo positivo ogni gioco del genere. Decidere di svilupparne uno sembrava quindi un win win. Se molti Walking Simulator stavano ora cercando di evolversi aggiungendo elementi di interazione al loro gameplay, Gone Home resta fedele all’approccio originale di Dear Esther (2012) proponendoci un’altra storia basata esclusivamente sull’esplorazione degli spazi e alla raccolta non lineare di elementi narrativi quali lettere o frammenti di diari audio nell’obiettivo di ricostruire la torbida verità dietro ad una “perfect American family”. Niente puzzles quindi a turbare la vita della giovane protagonista, se non nell’accezione psicologica del termine.

La raccolta indizi in Gome Home (2015) passa attraverso molte audiocassette.

Soma (2015)
Una profondo horror psicologico che è anche una esplorazione esistenziale sul significato di individualità e auto-coscienza. Dal punto di vista del gameplay Soma si presenta come un classico Walking Simulator con fasi stealth (che possono addirittura essere disattivate), ma quel che distingue Soma è che la sua storia e il suo messaggio sono possibili unicamente grazie al linguaggio dei videogames e non avrebbero mai avuto lo stesso effetto se raccontate da un libro o da un film. In Soma, ritroviamo temi già cari a The Talos Principle (2014): cosa significa essere coscienti? Quali sono le differenze tra intelligenze artificiale e esseri umani? E quelle tra realtà e simulazione? Soma non vuole dare risposte, bensì porci di fronte a queste domande in maniera brutale e sfacciata, richiedendo al giocatore di confrontarsi di continuo con temi forti, capaci di mettere in discussione la nostra esperienza quotidiana anche in modo significativo.

Soma (2015)

Firewatch (2016)
Forse uno dei più maturi esempi di Walking Simulator. Non vi sono enigmi veri e propri, e neppure costruzioni filosofiche da fighetti, ma Firewatch introduce maggiori elementi di interazione rispetto ai suoi precedessori, compresa una storia vera e propria, restando comunque meditativo e profondo. La sua atmosfera totalizzante è frutto di una art direction impeccabile ed un plot narrativo che comprende anche il dialogo con un personaggio secondario. Il gameplay estremamente pulito ed intuitivo, quasi invisibile, permette un’esperienza di solitudine straniante che pone il giocatore davanti a temi ancestrali quali il rapporto con la natura, la paura, la fiducia nel prossimo, l’amore, e naturalmente il fuoco… Must buy.

Firewatch (2016)

The Witness (2016)
Il gioco che rappresenta al meglio la nostra cavalcata tra “Puzzle Game Filosofici” è forse questo. The Witness unisce le due facce della medaglia rappresentate da Myst (1993) e Portal (2007). I puzzle, in questo Walking Simulator, tornano prepotentemente in scena fino a diventare ossessione, mentre percorriamo un’isola pietrificata nel tempo alla ricerca di una risposta “alla vita, all’universo e tutto quanto”. Qualsiasi mio tentativo di descrivere The Witness finirebbe in spoiler tanta è la sorpresa che ogni singolo enigma riserva al malcapitato esploratore. Vi basti sapere che una volta finito non guarderete più il mondo con gli stessi occhi; entrateci a vostro rischio. Il suo unico difetto è quello di essere estremamente difficile già dal mid game e questo potrebbe portarvi a curiosarne le soluzioni “solo per una volta”. Sciocchi. Sappiamo tutti che, una volta consultate, le soluzioni creano dipendenza: vi rovinereste tutto. Il nostro consiglio è senza dubbio quello di tenere duro, perché coi suoi 523 puzzle il gioco può durare anche più di 100 ore!

In The Witness (2016) ogni puzzle è simile al precedente ma profondamente diverso.

What Remains Of Edith Finch (2017)
Considerato da molti “solo” un ennesimo esempio di Walking Simulator, crediamo che WROEF meriti posto in questa lista esattamente per il suo essere un ottimo esempio di Walking Simulator. La protagonista torna alla sua casa di origine per scoprire di più riguardo ai suoi familiari, risalendo l’albero genealogico fino a “ritrovarsi” con Edith Finch. Non ci sono puzzle o enigmi da risolvere, ma questa fiaba interattiva della durata di un paio d’ore saprà stupirvi ad ogni angolo, utilizzando in maniera estremamente creativa le potenzialità del linguaggio dei videogiochi.

What Remains Of Edith Finch (2017)

Return Of The Obra Dinn (2018)
Il secondo gioco dal geniale autore di Papers, Please (2013). Esteticamente, Return of the Obra Dinn è una gioia per gli occhi: visivamente anacronistico, nel suo stile monocromatico a 1 bit, è una lettera d’amore per i giochi dei primi anni ’80. Non è però solamente un’operazione nostalgica, ma una precisa scelta che è allo stesso tempo forma e funzionalità, una sorta di antichità digitale che allo stesso tempo si definisce e viene definita dalla stessa. Il gameplay non è da meno: il gioco parte dalla fine, siamo un investigatore assicurativo che sale a bordo di un vascello trovato in mezzo all’oceano, i cui membri della ciurma sono tutti scomparsi o passati a miglior vita in circostanze misteriose. Il nostro compito? Scoprire il destino delle 60 persone che si trovavano a bordo dell’Obra Dinn. Abbiamo a disposizione solo un magico orologio da tasca che ci mostra il momento esatto della morte in questione. Return of the Obra Dinn è un po’ Cluedo e un po’ Puzzle Game, un’esperienza unica, impossibile da rinchiudere in un genere specifico, che va assolutamente provata sulla propria pelle.

Return Of The Obra Dinn (2018)

Observation (2019)
Col 2019 le avventure grafiche prendono spazio, letteralmente. Observation ci trasporta sulla piattaforma spaziale internazionale subito dopo uno strano incidente. La protagonista è la Dr. Emma Fisher e la storia segue le sue avventure mentre cerca di risolvere la situazione. Il giocatore non è però chiamato a vestire i panni della dottoressa, bensì della stazione spaziale stessa, o meglio, della Intelligenza Artificiale SAM a supporto della missione spaziale. Il risultato è un conturbante valzer a gravità zero tra noi ed Emma, mentre risolveremo puzzle insieme, ma soprattutto osserveremo le sue emozioni umane (ma Emma è umana?) dal “punto di vista” della macchina.

Observation (2019)

Outer Wilds (2019)
E restiamo nello spazio con Outer Wilds, ultimo gioco della nostra lista (per ora) e un altro titolo nato da uno student project, a dimostrazione che il cambiamento in ogni cosa viene dal basso, dall’entusiasmo, dalla sperimentazione. Outer Wilds é una incredibile riproduzione di un universo funzionante a scala… ridottissima. Anche qui non ci sono puzzle veri e propri ma tutto l’universo è una gigantesca mistery box da scoprire mentre si raccolgono le informazioni necessarie a comprendere le coordinate per la fine del gioco. Nel suo essere un gioco puramente esplorativo Outer Wilds é inaspettatamente molto difficile proprio per il suo uscire dagli schemi e il costringerci a pensare in modo diverso. Ogni cosa è collegata ma ci vorrà del tempo prima di scoprirlo. Miglior gioco 2019.

Outer Wilds (2019)

Ci siamo scordati qualcosa di importante durante questa nostra guida? Feel free di farcelo sapere nei vostri commenti, qui sotto! 🙂

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The Casual Gamer

Data stellare Marzo 2020. A causa di un virus alieno diffuso sull’intero pianeta, raggiunto lo stato di illuminazione durante la lunga quarantena in criomeditazione, nasce The Casual Gamer: ennesimo blog di recensioni di videogiochi.

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